Di Jamila Zenobio
“La scienza che si è formata intorno ai fatti di lingua è passata per tre fasi successive prima di riconoscere quale è il suo vero ed unico oggetto.”
La linguistica generale delineata da Saussure nel suo Cours rappresenta a mio parere il raggiungimento della quarta fase attraverso la quale è stato possibile identificare oltre che l’oggetto d’indagine anche il dominio all’interno del quale operare.
È proprio da tale concetto che intendo costruire il mio centone di passi significativi che possono concorrere a formulare una mia personale riflessione sui concetti di langue e parole definiti dal linguista ginevrino.
Per parlare di langue Saussure deve dapprima distinguerla dal langage specificando il fatto che essa ne costituisce un suo sottoinsieme:
La lingua, per l’appunto, “è un oggetto ben definito nell’insieme eteroclito dei fatti di linguaggio. […] È la parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non può né crearla né modificarla; essa esiste solo in virtù di una sorta di contratto stretto tra i membri della comunità.”
“La lingua, così delimitata nell’insieme dei fatti di linguaggio, è classificabile tra i fatti umani, mentre il linguaggio non lo è. […] La lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari ecc. ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi”.
La langue è dunque un sottoinsieme del langage il quale è definito da Saussure con un aggettivo che considero estremamente preciso nella descrizione: eteroclito. Il langage, messo in questa prospettiva, risulta come un sistema sterminato per estensione e costituito da elementi eterogenei per qualità. Da quest’ultimo è possibile ricavare un sottoinsieme più omogeneo e limitato, pur nella sua comunque sterminata mole, definito langue.
Aggiunge poi alcune coordinate che cesellano sempre con maggior dettaglio questa figura poliedrica che è la langue, primo fra tutti il connotato sociale.
È un fattore esterno all’individuo eppure estremamente collegato ad esso perché si sedimenta nella sua coscienza attraverso un addestramento costante che avviene sin dalla primissima infanzia al fine di permettere al parlante di conoscere quindi le regole del gioco.
È interessante notare inoltre come Saussure nobiliti nel secondo estratto la langue come il più importante fatto umano all’interno dei fatti di langage.
Si tratta appunto di ciò che Saussure, attraverso una felice definizione, identifica come: “il tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti appartenenti alla stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello d’un insieme di individui, dato che la lingua non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa”.
Questo estratto ci porta all’introduzione di una seconda coordinata che connota il concetto saussuriano di langue: il fatto che essa si profili come collettiva. È un sistema dunque che esiste nel cervello di ognuno di noi ma non completamente. Da qui anche la presenza di una terza coordinata, stavolta in negativo: la langue non è individuale. Per essere contemplata ed analizzata nella sua completezza bisogna fare riferimento alla massa.
Finora ho parlato di langue senza menzionare un elemento imprescindibile da essa pur essendo qualcosa di completamente differente: la parole. Tullio de Mauro, nella sua introduzione al Cours, la definisce come “la realizzazione di variazioni esecutive di un qualcosa che per variare deve ben restare identico da qualche punto di vista”.
La parole è quindi l’atto concreto, la fonazione di ciò che è presente come concetto grammaticalizzato nel cervello di ognuno di noi, ovvero la langue.
Si desume inoltre che “non v’è dunque nulla di collettivo nella parole; le sue manifestazioni sono individuali e momentanee”.
Giunge spontaneo chiedersi a questo punto se sia nata prima la parole o la langue, se la langue abbia prodotto la parole o viceversa. Saussure ci fornisce la sua spiegazione:
“Senza dubbio, i due oggetti sono strettamente legati e si presuppongono a vicenda: la lingua è necessaria perché la parole sia intelligibile e produca tutti i suoi effetti; ma la parole è indispensabile perché la lingua si stabilisca; storicamente, il fatto di parole precede sempre. Come verrebbe in mente di associare un’idea a un’immagine verbale se non si cogliesse tale associazione anzitutto in un atto di parole? D’altra parte, solo ascoltando altri apprendiamo la nostra lingua materna; essa giunge a depositarsi nel nostro cervello solo in seguito a innumerevoli esperienze.”
La parole pur essendo dunque indissolubilmente legata alla parole è l’elemento che allo stesso tempo la presuppone e la genera. Le argomentazioni riportate dal linguista ginevrino a favore di questa tesi sono, a mio parere, solide ed incontrovertibili. È la pratica ripetitiva dell’atto di parole che permette di creare un ponte mentale fra il concetto e la sua immagine verbale. Il depositarsi lento e inesorabile di queste connessioni concorre dunque alla creazione di quel tesoro presente nella lingua di ogni parlante: la langue.