La dicotomia langue-parole saussuriana

La pubblicazione del CLG ha aperto uno spartiacque all’interno della linguistica moderna, con inevitabili ricadute sul panorama della linguistica contemporanea. Se d’altronde il sapere è problematico e cumulativo, sarebbe del tutto improbabile pensare che la linguistica novecentesca tout court non vi sia confrontata con i percorsi dicotomici ideati da Ferdinand de Saussure. Strutturalisti, funzionalisti e le scuole chomskiane (tanto per citarne alcuni) si sono trovati di fronte al paradigma di matrice saussuriana, dando vita ad una dialettica plastica ed in continua definizione. Chi abbia voluto definire ciò che è- o non è- strettamente linguistico, non ha potuto non fare i conti con la langue e la parole, dicotomia-compromesso al centro del pensiero linguistico da de Saussure in poi. L’impalcatura strutturalista saussuriana è coerente e coesa e si esprime mediante definizione nette, chiare, ma comunque aperte a problematiche che si prestano tuttora a “strategie” di problem solving.

Seguono dei passi riportati nel CLG da discutere alla luce delle attuali tendenze della linguistica, senza tralasciare in secondo piano la carica innovativa delle riflessioni proposte dal maestro ginevrino.

  • Così, da qualunque lato si affronti il problema, da nessuno ci si presenta l’oggetto integrale della linguistica; dovunque ci imbattiamo in questo dilemma: o noi ci dedichiamo a un solo aspetto d’ogni problema, rischiando di non percepire le dualità segnalate più su; oppure, se studiamo il linguaggio sotto parecchi aspetti in uno stesso momento, l’oggetto della linguistica ci appare un ammasso confuso di cose eteroclite senza legame reciproco.
  • A nostro avviso, non vi è che una soluzione a tutte queste difficoltà: occorre porsi immediatamente sul terreno della lingua e prenderla per norma di tutte le altre manifestazioni del linguaggio. In effetti, tra tante dualità, soltanto la lingua sembra suscettibile di una definizione autonoma e fornisce un punto d’appoggio soddisfacente per lo spirito.
  • Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si confonde col linguaggio; essa non ne è che una determinata parte, quantunque, è vero, essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua totalità, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità.
  • La lingua, al contrario, è in sé una totalità e un principio di classificazione. Dal momento in cui le assegniamo il primo posto tra i fatti di linguaggio, introduciamo un ordine naturale in un insieme che non si presta ad altra classificazione. […]
  • Per attribuire alla lingua il primo posto nello studio del linguaggio, si può infine fare valere questo argomento, che la facoltà – naturale o no – di articolare paroles non si esercita se non mercé lo strumento creato e fornito dalla collettività; non è dunque chimerico dire che è la lingua che fa l’unità del linguaggio.
  • È attraverso il funzionamento delle facoltà ricettiva e coordinativa che si formano nei soggetti parlanti delle impronte che finiscono con l’essere sensibilmente le stesse in tutti. Come bisogna rappresentarsi questo prodotto sociale perché la lingua appaia perfettamente depurata dal resto. Se potessimo abbracciare la somma delle immagini verbali immagazzinate in tutti gli individui, toccheremmo il legame sociale che costituisce la lingua. Questa è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello d’un insieme di individui, dato che la lingua non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa.
  • Separando la lingua dalla parole, si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che e individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale.

La lingua non è una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che l’individuo registra passivamente; non implica mai premeditazione, e la riflessione vi interviene soltanto per l’attività classificatoria di cui tratterà oltre.

La parole, al contrario, è un atto individuale di volontà e di intelligenza, nel quale conviene distinguere: 1. le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale; 2 il meccanismo psico-fisico che gli permette di esternare tali combinazioni. È da notare che noi abbiamo definito delle cose e non dei vocaboli.

  • Mentre il linguaggio è eterogeneo, la lingua così delimitata è di natura omogenea: è un sistema di segni in cui essenziale è soltanto l’unione del senso e dell’immagine acustica ed in cui le due parti del segno sono egualmente psichiche.
  • La lingua, non meno della parole, è un oggetto di natura concreta, il che è un grande vantaggio per lo studio. I segni linguistici, pur essendo essenzialmente psichici, non sono delle astrazioni; le associazioni ratificate dal consenso collettivo che nel loro insieme costituiscono la lingua, sono realtà che hanno la loro sede nel cervello. Inoltre, i segni della lingua sono, per dir così, tangibili; la scrittura può fissarli in immagini convenzionali, mentre sarebbe impossibile fotografare in tutti i loro dettagli gli atti della parole; la produzione fonica d’una parola, per quanto piccola, comporta un’infinità di movimenti muscolari estremamente difficili da conoscere e raffigurare. Nella lingua, al contrario, non v’è altro che l’immagine acustica, e questa può tradursi in una immagine visiva costante. Perché, se si fa astrazione da questa moltitudine di movimenti necessari per realizzarla nella parole, ogni immagine acustica altro non è, come vedremo, che la somma d’un numero limitato di elementi, i fonemi, suscettibili a loro volta di essere evocati da un numero corrispondente di segni nella scrittura. Proprio questa possibilità di fissare le cose relative alla lingua fa sì che un dizionario e una grammatica possano esserne una rappresentazione fedele, la lingua essendo il deposito delle immagini acustiche e la scrittura essendo la forma tangibile di queste immagini.
  • Noi possiamo dunque rappresentarci il fatto linguistico nel suo insieme, e cioè possiamo rappresentarci la lingua, come una serie di suddivisioni contigue proiettate, nel medesimo tempo, sia sul piano indefinito delle idee confuse (A) sia su quello non meno indeterminato dei suoni (B); è quel che si può raffigurare molto approssimativamente con lo schema seguente:piano de saussure

 

  • Si potrebbe chiamare la lingua il regno delle articolazioni, assumendo questa parola nel senso già definito: ogni termine linguistico è un membretto, un articulus in cui un’idea si fissa in un suono ed un suono diviene il segno dell’idea.

La lingua è ancora paragonabile a un foglio di carta: il pensiero è il recto ed il suono è il verso; non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua, non si potrebbe isolare né il suono dal pensiero né il pensiero dal suono; non vi si potrebbe giungere che per un’astrazione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o della fonologia pura.

  • Il fatto è che ci si aggira in un circolo: da una parte, niente è più adatto della lingua a far capire la natura del problema semiologico; ma, per porlo in modo conveniente, bisognerebbe studiare la lingua in se stessa; sennonché, fino ad ora, la si è esaminata quasi sempre in funzione di qualche altra cosa, sotto altri punti di vista.

Per cominciare, c’è la concezione superficiale del gran pubblico, che nella lingua non vede se non una nomenclatura, il che soffoca ogni indagine sulla sua effettiva natura. Poi vi è il punto di vista dello psicologo che studia il meccanismo del segno nell’individuo; è il metodo più facile, ma non conduce più in là della esecuzione individuale e non sfiora il segno, che è sociale per natura.

  • Se si vuol capire la vera natura della lingua, bisogna afferrarla anzitutto in ciò che essa ha di comune con tutti gli altri sistemi del medesimo ordine; e fattori linguistici che appaiono a tutta prima importanti (come il ruolo dell’apparato di fonazione) devono esser considerati soltanto in seconda linea, qualora non servano che a distinguere la lingua da altri sistemi. Per questa via non soltanto si chiarirà il problema linguistico, ma noi pensiamo che considerando i riti, i costumi ecc. come segni, tali fatti appariranno in un’altra luce, e si sentirà allora il bisogno di raggrupparli nella semiologia e di spiegarli con le leggi di questa scienza.

Bernardo S., Linguistica generale LM

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