Cap. 3. Oggetto della linguistica
La lingua e le sue definizioni
Ferdinand de Saussure apre il suo Cours de linguistiche générale con una riflessione sulle varie tappe che hanno portato alla nascita della linguistica e all’individuazione del suo “vero e unico” oggetto di studio. Segue una precisazione sui rapporti che la linguistica intrattiene con le altre scienze e sulla sua materia di cui deve occuparsi: “la totalità delle manifestazioni del linguaggio umano […] tenendo conto per ciascun periodo non solo del linguaggio corretto e della “buona lingua”, ma delle espressioni d’ogni forma” (p.15).
È nella terza sezione del testo che l’autore sviluppa una definizione di lingua. Egli parte dalla constatazione che precisare l’oggetto di studio della linguistica non è un’operazione semplice dal momento che, a differenza delle altre scienze, esso non esiste di per sé, a priori, ma è strettamente dipendente, o meglio, è creato dal punto di vista dell’osservatore. Una qualsiasi parola appare sempre diversa a seconda di come la si consideri, ora da un punto di vista fonetico (suono), ora da un punto di vista semantico (significato) ecc. Per di più, il fenomeno linguistico non è monolitico ma “presenta eternamente due facce che si corrispondono e delle quali l’una non vale che in virtù dell’altra” (p.17). Ne consegue che:
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l’impressione acustica (il suono) è inscindibile dalla sua articolazione boccale: una lettera esiste solo come unione di questi due aspetti, dunque la lingua non può essere ridotta al suono;
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il suono non esiste preso isolatamente ma soltanto in congiunzione con il pensiero, del quale è uno strumento: “il suono, unità complessa acustico-vocale, forma a sua volta con l’idea una unità complessa fisiologica-mentale”;
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il linguaggio è allo stesso tempo individuale e sociale e non è possibile concepire l’un lato senza l’altro;
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“in ogni istante il linguaggio implica sia un sistema stabile sia una evoluzione; in ogni momento è una istituzione attuale e un prodotto del passato” (p.18). Ciò che è stato è inseparabile da ciò che è. Inoltre, avverte Saussure, le cose non cambierebbero anche qualora si prendesse in considerazione il linguaggio infantile poiché “il problema delle origini” non è diverso da quello delle “condizioni permanenti”.
Preso nella sua totalità e considerandolo in tutte le sue dualità, il linguaggio appare come “un ammasso confuso di cose eteroclite senza legame reciproco” (p.18). Per lo studioso bisogna, allora, concentrarsi su un solo aspetto, la lingua, prendendolo a “norma di tutte le altre manifestazioni del linguaggio” perché “tra la tante dualità [è la sola] suscettibile di una definizione autonoma” (p.18). Saussure, dunque, attribuisce alla lingua il primato tra i fatti del linguaggio e chiarisce che cosa è da intendere con lingua: essa costituisce una parte della facoltà del linguaggio e un suo prodotto sociale; è un insieme di convenzioni necessarie di cui la collettività si serve per permettere ai singoli di esercitare la facoltà del linguaggio. Alla possibile obiezione che la lingua, in quanto acquisita e convenzionale, dovrebbe essere subordinata al linguaggio, facoltà naturale, l’autore osserva innanzitutto che la funzione del linguaggio non è interamente naturale, poiché non è così scontato che il nostro apparato vocale sia fatto per parlare, come le gambe per camminare. Condivide, anche se solo nel suo nocciolo teorico, la posizione dello studioso americano Whitney, secondo il quale la lingua è una convenzione e la natura del segno sul quale si conviene è indifferente. Si potrebbe infatti utilizzare il gesto e non la voce, e quindi le immagini visive anziché quelle uditive, come strumento di lingua. In seconda battuta, riallacciandosi a una precisa definizione di articolazione (intesa come suddivisione della catena di significazioni in unità significative) sottolinea che ad assere naturale per l’uomo non è il linguaggio parlato ma la facoltà di formare una lingua, ovvero “un sistema di segni distinti corrispondenti a delle idee distinte” (p.20). Infine ribalta la questione: è possibile articolare parole solo in funzione dello strumento creato dalla collettività; è quindi “la lingua che fa l’unità del linguaggio”.
Posto della lingua tra i fatti di linguaggio
Secondo Saussure per individuare il posto che la lingua occupa all’interno del linguaggio si deve far riferimento all’atto individuale, utile a “ricostruire il circuito delle parole”. L’autore passa, quindi, alla descrizione del suddetto circuito (cfr. fig 1 e fig. 2): per aver luogo, l’atto esige almeno due individui (A e B); il punto di partenza è il cervello di un individuo (A) nel quale i fatti di coscienza (i concetti) sono associati alle rappresentazioni dei segni linguistici (le immagini acustiche) che servono alla loro espressione. All’interno del circuito è possibile distinguere tre fenomeni:
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uno unicamente psichico (il concetto che nel cervello viene associato alla corrispondente immagine acustica/verbale, essa stessa psichica e perciò da non confondere con il suono)
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uno fisiologico (il cervello trasmette agli organi di fonazione l’impulso correlato all’immagine)
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uno totalmente fisico (le onde sonore che vanno dall’orecchio di A a quello di B)
Nell’individuo B il circuito segue l’ordine inverso:
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dall’orecchio al cervello, trasmissione fisiologica dell’immagine acustica (audizione)
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nel cervello, correlazione psichica dell’immagine con il concetto
Fig. 1 Fig. 2
In tale circuito è possibile distinguere ancora:
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una parte esteriore (vibrazione dei suoni dalla bocca all’orecchio) e una interiore (tutto il resto)
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una parte psichica e una non psichica (i fatti fisiologici legati agli organi e quelli fisici esterni alla persona)
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una parte attiva (dal centro di associazione all’orecchio) e una passiva (dall’orecchio al centro di associazione)
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nella parte psichica che ha sede nel cervello, si può denominare esecutivo tutto ciò che è attivo (c → i) e ricettivo tutto quello che è passivo (i → c)
A questo punto l’autore fa una precisazione, cui seguirà la riflessione che lo porterà alla distinzione fondamentale tra lingua e parole: sono le facoltà di associazione e di coordinazione a svolgere un compito chiave “nell’organizzazione della lingua come sistema”. Il loro ruolo travalica l’atto individuale (“embrione del linguaggio”) e riguarda la lingua come fatto sociale. Saussure, proseguendo nel suo ragionamento, si chiede quale sia l’origine di quella cristallizzazione sociale che fa sì che tutti gli individui riproducano, per quanto in modo approssimativo, gli stessi segni collegati agli stessi concetti e quali parti del circuito vi siano coinvolte. Esclude la parte fisica perché se non si comprendono i suoni di una lingua si rimane fuori dal fatto sociale; esclude la parte psichica nella sua interezza perché “l’esecuzione è sempre individuale” (è la parte che chiama parole); infine, individua nel funzionamento delle facoltà ricettiva e coordinativa ciò che produce “nei parlanti delle impronte che finiscono con l’essere sensibilmente le stesse per tutti” (p.23). È il legame sociale che crea la lingua, “un tesoro depositato dalla pratica della parole in ciascuno degli individui di una stessa comunità” (p.23), un sistema grammaticale che si trova virtualmente nel cervello di un gruppo di persone poiché “la lingua non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa” (p.23). Viene, dunque, esplicitata la differenza tra lingua e parole: “separando la lingua dalla parole, si separa a un sol tempo: ciò che è sociale da ciò che è individuale; ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale” (p.23). La lingua non appartiene al soggetto parlante, non implica premeditazione ma è il “prodotto che l’individuo registra passivamente”; al contrario la parole è in funzione del singolo, il quale volontariamente si serve di un determinato codice linguistico per esprimere ciò che pensa. Dice Saussure: “la parole è un atto individuale di volontà e di intelligenza nel quale conviene distinguere: le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale; il meccanismo psico-fisico che gli permette di esternare tali combinazioni” (p.24).
Volendo sintetizzare le caratteristiche della lingua, per lo studioso ginevrino essa è:
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un oggetto ben determinato all’interno dell’ammasso “eteroclito” dei fatti del linguaggio. Nel circuito dell’atto linguistico, corrisponde all’associazione tra l’immagine uditiva e il concetto. È la parte sociale del linguaggio, esterna al singolo, il quale individualmente non può né crearla né cambiarla poiché la lingua esiste solo grazie a un mutuo contratto tra i soggetti di una comunità. Necessita di un apprendimento ma è cosa ben distinta dalla parole, tanto che chi fosse privo di quest’ultima potrebbe avere accesso alla lingua a condizione che ne comprenda i segni vocali.
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La lingua, per poter essere studiata, non solo può separarsi dalla parole ma deve essere distinta dagli altri fattori del linguaggio.
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Se il linguaggio è un insieme eteroclito, la lingua ha natura omogenea: “è un sistema di segni in cui essenziale è soltanto l’unione del senso e dell’immagine acustica ed in cui le due parti sono egualmente psichiche” (p.24).
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Anche se l’essenza dei segni linguistici è psichica, al pari della parole, “le associazioni ratificate dal consenso collettivo che costituiscono la lingua” (p.25) hanno concretezza: sono realtà tangibili con sede nel cervello. E, infatti, la scrittura può fissare gli elementi costitutivi dell’immagine acustica (i fonemi) in immagini convenzionali (segni della scrittura), mentre sarebbe impossibile fare la stessa cosa per la parole, ovvero per la miriade di piccoli movimenti muscolari necessari per la produzione fonica. È grazie a questa possibilità che un dizionario e una grammatica possono essere una rappresentazione fedele della lingua.
Posto della lingua tra i fatti umani. La semiologia.
Dalle caratteristiche della lingua consegue, secondo Saussure, un ulteriore elemento importante: a differenza del linguaggio, essa è classificabile tra i fatti umani. La lingua è, in effetti, un’istituzione sociale con una natura ben specifica, “è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, confrontabile con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi” (p.25). Se ne deduce, secondo l’autore, la possibilità di concepire la nascita di una scienza, la semiologia, che studi “la vita dei segni nel quadro della vita sociale” (p.26), la loro natura e le loro leggi. La linguistica è solo una branca della semiologia, dal momento che può definirsi come disciplina soltanto in rapporto ad essa. A questa osservazione segue un elenco delle cause per le quali la semiologia non è stata ancora individuata come scienza autonoma, tutte da ricondurre al fatto che la lingua è sempre stata studiata in funzione di qualcos’altro: come una nomenclatura, come un segno individuale o come un fatto sociale ma soltanto per i tratti collegabili ad altre istituzioni e che dipendono dalla volontà.
Da questo punto di vista, due le novità dell’approccio saussuriano: considerare il carattere essenziale del segno sfuggevole alla volontà individuale o sociale; ritenere i fatti linguistici innanzitutto come fatti semiologici.
Cap. 4. Linguistica della lingua e linguistica della parole
Il primato della lingua nella classificazione degli studi intorno al linguaggio determina la subordinazione ad essa di tutti gli altri elementi del linguaggio (ovvero della parole). Osserva Saussure: “lo studio del linguaggio comporta dunque due parti: l’una essenziale ha per oggetto la lingua, che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo; questo studio è unicamente psichico; l’altra, secondaria, ha per oggetto la parte individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa la fonazione; essa è psico-fisica” (p.29). Ancora: “vi è dunque interdipendenza tra la lingua e la parole; la prima è nello stesso tempo lo strumento e il prodotto della seconda. Ma tutto ciò non impedisce che esse siano due cose assolutamente distinte” (p.29). Per spiegare meglio questa distinzione, Saussure specifica nuovamente l’uno e l’altro termine: la lingua esiste nella collettività, infatti, pur essendo collocata come una serie di impronte cerebrali in ciascun individuo, è comune a tutti ed è fuori dalla volontà del singolo, “è un prodotto sociale depositato nel cervello d’ognuno”(p.35). Questo suo modo d’essere è esprimibile con la seguente formula:
La parole, invece, è frutto di combinazioni linguistiche individuali e volontarie, così come lo sono gli atti di fonazioni necessari ad esprimerle; la parole corrisponde a ciò che le persone dicono e la formula atta a rappresentarla è:
L’autore ribadisce ancora una volta che il linguaggio è inconoscibile se considerato nella sua totalità non omogenea; le basi di partenza per la fondazione di una teoria del linguaggio sono la lingua e la parole, dalle quali si possono sviluppare una linguistica della lingua e una della parole, tra loro però non sovrapponibili. Saussure dichiara esplicitamente di occuparsi della prima.
Cap. 5. Elementi interni ed esterni della lingua
L’autore, partendo dalla definizione di lingua fornita, opera un’altra suddivisione tra linguistica interna ed esterna: la prima si occupa di tutto ciò che ha a che fare con il sistema della lingua a qualsiasi livello; la seconda di tutto quello che è estraneo al suo organismo (i rapporti con l’etnologia, la storia politica, le altre istituzioni di tutti i tipi ecc.). Per fare cogliere tale differenza usa un paragone con il gioco degli scacchi: se si sostituiscono dei pezzi in legno con dei pezzi in avorio il cambiamento è indifferente per il sistema; se si diminuisce o aumenta il numero dei pezzi questa modifica investe profondamente la “grammatica” del gioco”.
Cap. 6. Rappresentazione della lingua mediante la scrittura
Il linguista ginevrino avverte il bisogno di chiarire la relazione tra lingua e scrittura. Da un lato perché la scrittura è il procedimento attraverso il quale la lingua è continuamente rappresentata e, quindi, si fa un suo strumento di conoscenza; dall’altro per argomentare sull’illusorio predominio della forma scritta su quella parlata. Lingua e scrittura sono due sistemi di segni. La lingua, precisa lo studioso, è da sola l’oggetto della linguistica e la tradizione orale è indipendente dalla scrittura; di più, l’unico motivo dell’esistenza di quest’ultima è la rappresentazione della prima. Ma succede che “il vocabolo scritto si mescola così intimamente al vocabolo parlato di cui è l’immagine, che finisce con l’usurpare il ruolo principale” (p.36). Diverse le ragioni addotte: l’immagine grafica appare un oggetto più solido e “più adatto del suono a garantire l’unità della lingua attraverso il tempo”; le impressioni visive sembrano più nette e durevoli; la lingua letteraria concorre al prestigio della scrittura; infine quando occorrono discordanze tra lingua e ortografia, sulle quali potrebbe far luce il linguista, questi difficilmente riesce a intervenire cosicché la forma scritta spesso ha la meglio.
Cap.2. Immutabilià e mutabilità del segno
In chiusura di questo capitolo Saussure fa una nuova sintesi relativa alla lingua:
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Il linguaggio rappresenta due fattori: la lingua e la parole. La lingua è il linguaggio meno la parole, è l’insieme delle abitudini linguistiche che permettono a un soggetto di comprendere e farsi comprendere.
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Questa definizione comprende solo l’aspetto individuale della realtà: serve una massa parlante perché vi sia una lingua. In nessun momento la lingua esiste fuori dal fatto sociale, perché essa è un fenomeno semiologico. La sua natura sociale è uno dei suoi caratteri interni. La sua definizione completa tiene conto di due aspetti per essa inseparabili: la lingua e la massa parlante. Ma in queste condizioni la lingua è vitale, non viva; si tiene conto solo della realtà sociale e non del fatto storico.
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Poiché il segno linguistico è arbitrario sembra che la lingua sia un sistema libero, dipendente unicamente da un principio razionale. E tuttavia ciò che vieta di guardare alla lingua come una semplice convenzione, modificabile a piacere dagli interessati, è l’azione del tempo che si combina con l’azione della forza sociale. Se si prendesse la lingua nel tempo, senza la massa parlante, non si constaterebbe forse nessuna alterazione. Inversamente, se si considerasse la massa parlante senza tempo, non si vedrebbe l’effetto delle forze sociali (tali fattori sono esemplificati dalla fig. 6).
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La lingua non è libera perché il tempo permetterà alle forze sociali esercitatesi su di essa di sviluppare i loro effetti, e si arriva al principio di continuità, che annulla la libertà. Ma la continuità implica necessariamente l’alterazione, lo spostamento più o meno considerevole dei rapporti.
Concetta