La parola nel “Cours de linguistique générale” di F. de Saussure

Cap. 1. Natura del segno linguistico

Segno, significato e significante

Dopo l’introduzione dedicata alle riflessioni sulla linguistica, sul suo oggetto di studio e su vari argomenti connessi, Saussure si sofferma sulla natura del segno linguistico. Per prima cosa, smentisce la credenza secondo la quale la lingua sia una nomenclatura, ovvero una lista di termini corrispondenti a delle cose.

Una posizione criticabile per numerosi motivi: presuppone che le idee esistano prima delle parole; non chiarisce se un nome, per esempio albero, abbia una natura vocale o psichica; infine semplifica il complesso legame tra un nome e una cosa. Si è detto, a proposito del circuito della parole, che i termini del segno linguistico sono entrambi psichici e sono uniti nel nostro cervello dal legame dell’associazione. Questo aspetto ritorna utile anche nel ragionamento sul segno linguistico: esso non unisce una cosa e un nome ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non coincide con il suono, puramente fisico, ma è la traccia psichica del suono, e ciò appare evidente osservando il linguaggio: possiamo parlare tra noi o recitare una poesia senza muovere né labbra né lingua. Le parole della lingua sono immagini acustiche. Occorre, dunque, prestare attenzione a utilizzare il termine fonema associandolo alle parti di cui è composta, in generale, una “parola”. Il fonema implica un’azione vocale e, pertanto, è attinente solo alla parola parlata (i termini suoni e sillabe possono evitare il malinteso). Il termine “immagine acustica” va meglio precisato secondo De Mauro: “per F. de Saussure la lingua è un deposito, una cosa ricevuta dall’esterno. L’immagine acustica è per eccellenza la rappresentazione naturale della parola in quanto fatto di lingua virtuale, fuori d’ogni realizzazione mediante la parole. L’aspetto motorio [la sua articolazione] può […] essere sottinteso o comunque può occupare un posto subordinato” (p. 84)

Ritornando al segno linguistico, Saussure lo definisce “un’entità psichica a due facce” strettamente collegate e richiamanti l’una all’altra (cfr. fig 3).

Solo gli accostamenti tra concetto e immagine acustica sanciti dalla lingua ci sembrano conformi alla realtà.

Fig. 3 Fig. 4

La definizione di segno linguistico pone l’accento su una diffusa confusione terminologica: il segno è la combinazione di concetto e immagine acustica, mentre nell’uso corrente prevale il riferimento all’immagine acustica, alla parte sensoriale. Per evitare le possibili ambiguità, Saussure propone di sostituire i termini concetto e immagine acustica rispettivamente con significato e significante e di utilizzare segno per indicare l’unione tra i due.

Il segno linguistico possiede due caratteri “primordiali”: l’arbitrarietà e il carattere lineare del significante.

Il primo principio comporta che il legame tra significato e significante sia arbitrario e che, quindi, il segno linguistico sia arbitrario. Ciò si può facilmente esemplificare: l’idea, per esempio di albero, non è legata da alcun rapporto interno tra la sequenza di suoni che le serve, in italiano, da significante; infatti la stessa idea potrebbe essere rappresentata da qualsiasi altra sequenza, come mostrano le differenze tra le lingue (in francese si dirà arbre) e l’esistenza di lingue diverse.

Da questo principio, fondamento di tutta la linguistica, seguono moltissime conseguenze. Lo studioso, a titolo di esempio, osserva che “ogni modo di espressione di una società poggia […] su un’abitudine collettiva o, ciò che è lo stesso, sulla convenzione” (p.86) (è il caso dei segni di cortesia dotati di una certa espressività naturale, anch’essi arbitrari, il cui impiego è governato da precise regole e per questo possibili teoricamente di essere oggetto d’analisi della semiologia).

Il termine arbitrarietà esige una disambiguazione: il significante non dipende da una libera scelta del singolo parlante, che non può modificare nulla di un segno una volta che questo è fissato in un gruppo linguistico; arbitrario è il rapporto tra il significato e il significante, che nella realtà non ha alcun riscontro. Rispetto alla possibile obiezione sula supposta relazione naturale e non arbitraria tra significato e significante nel caso delle onomatopee o delle esclamazioni, Saussure sottolinea la loro importanza secondaria all’interno del sistema linguistico e ricorda che la loro origine simbolica è discutibile.

Il secondo principio si riferisce alla linearità temporale del significante e l’autore gli attribuisce la stessa importanza del primo: “il significante, essendo di natura auditiva, si svolge soltanto nel tempo ed ha i caratteri che trae dal tempo: a) rappresenta una estensione, b) tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è una linea” (p.88).

Cap. 2. Immutabilità e mutabilità del segno

Immutabilità

Proseguendo nella discussione intorno al segno, Saussure pone all’attenzione del lettore un’altra decisiva caratteristica: il segno linguistico sfugge alla volontà tanto del singolo quanto della comunità che l’impiega, “non è libero ma imposto”. La scelta del significante è legata esclusivamente alla lingua quale è. Tutti noi conosciamo una lingua come un prodotto ereditato dalle generazioni precedenti e da accettare tale e quale. La questione di come una lingua abbia avuto origine non è importante, anzi non è da porre, secondo l’autore: “il solo oggetto reale della linguistica è la vita normale e regolare di un idioma già costituito. Uno stato di lingua è sempre il prodotto di fatti storici, e sono questi fattori che spiegano perché il segno linguistico è immutabile, vale a dire resiste a ogni sostituzione arbitraria” (p.90). Ma non basta dire che la lingua è ereditata per spiegare la sua immutabilità. Serve aggiungere altre considerazioni.

  1. Il carattere arbitrario del segno, che avrebbe potuto indurci a ritenere possibile il cambiamento, dice Saussure, in realtà mette il segno al riparo da ogni modifica. La contraddizione viene risolta osservando che per poter intervenire e cambiare una cosa, questa cosa deve basarsi su una “norma ragionevole” ma “la lingua è sistema di segni arbitrari” e in quanto tale si sottrae a ogni discussione.

  2. Un sistema è sostituibile se è costituito da un numero limitato di elementi (com’è, per esempio, un sistema di scrittura) ma i segni linguistici sono innumerevoli.

  3. Una lingua costituisce un sistema (e per questo non è completamente arbitraria ma contiene una ragione relativa) troppo complesso perché i più possano essere capaci di trasformarla.

  4. La resistenza dell’inerzia collettiva a ogni innovazione linguistica è l’ultimo fattore a riprova dell’immutabilità della lingua. Tuttavia la stretta connessione con la vita della massa sociale, naturalmente inerte, appare un fattore di conservazione necessario ma non sufficiente. “Se la lingua ha un carattere di fissità ciò accade [] perché situata nel tempo. In ogni istante, la solidarietà col passato prevale sulla libertà di scelta” (p.92). Due fenomeni antinomici, la convenzione arbitraria grazie alla quale la scelta è libera e il tempo a causa del quale la scelta si trova fissata, si legano e ciò spiega la non mutabilità della lingua: “proprio perché arbitrario il segno non conosce altra legge che quella della tradizione, e proprio perché si fonda sulla tradizione può essere arbitrario” (p.92).

Mutabilità

Un’altra apparente contraddizione interviene nella spiegazione della mutabilità linguistica. Secondo lo studioso, il tempo preserva la lingua dal cambiamento ma comporta anche la sua alterazione: il segno può cambiare proprio in quanto si continua. L’alterazione riguarda sempre il rapporto arbitrario tra significato e significante. Niente, dice Saussure, è più complicato che spiegare l’evoluzione di una lingua: nessuno è in grado di modificarla poiché essa è congiunta al tempo e alla massa sociale, tuttavia l’arbitrarietà dei segni comporta la libertà di creare una qualsiasi relazione tra materia fonica e idea. Questi due fattori convivono nella lingua “in una misura altrove sconosciuta” e la lingua può alterarsi o evolversi influenzata da tutti quegli elementi che possono incidere e sui suoni e sui sensi. “La continuità del segno nel tempo, legata all’alterazione del tempo, è un principio della semiologia generale: se ne potrebbe trovare la conferma nei sistemi di scrittura, nel linguaggio dei sordomuti ecc.” (p.95). Saussure non entra nel dettaglio dei diversi fattori di alterazione e conclude con un’osservazione generale: “il tempo altera ogni cosa e non v’è ragione per cui la lingua sfugga a questa legge universale”.

Cap. 3. La linguistica statica e la linguistica evolutiva

Allacciandosi all’intervento del fattore tempo, Saussure avvia una discussione che lo porta a una seconda biforcazione, dopo quella tra lingua e parole: quella tra linguistica sincronica e diacronica. “La linguistica sincronica [fotografa uno stato di lingua] si occuperà dei rapporti logici e psicologici colleganti i termini coesistenti e formanti nel sistema, così come sono percepiti dalla stessa coscienza collettiva. La linguistica diacronica studierà invece i rapporti colleganti termini successivi non percepiti da una medesima coscienza collettiva, e che si sostituiscono gli uni agli altri senza formar sistema tra loro” (p.120). La distinzione è chiarita con un esempio, che mostra nel contempo l’autonomia e l’interdipendenza della sincronia e della diacronia: “se si taglia trasversalmente il tronco di un vegetale […] la sezione longitudinale ci mostra le fibre che costituiscono la pianta, e la sezione trasversale ce ne mostra il raggruppamento su un piano particolare; ma la seconda è distinta dalla prima perché fa constatare tra le fibre certi rapporti che non si potrebbero mai percepire su un piano longitudinale” (p.107)(cfr. fig.7)

L’autore precisa che tutto ciò che è diacronico riguarda in un primo momento solo la parole, “germe” di ogni trasformazione, l’innovazione infatti sorge nell’individuo. Solo i cambiamenti adottati dalla collettività entrano a far parte del campo della lingua, la cui natura è sociale. Inoltre, “l’aspetto sincronico domina sull’altro, poiché la massa parlante è la vera e unica realtà” (p.109).

LINGUISTICA SINCRONICA

Cap. 2. Le entità concrete della lingua

Saussure ritorna sul segno linguistico e propone ulteriori elementi di riflessione. Innanzitutto utilizza nuovi termini, via via più specifici, per denominare i segni di cui la lingua è composta: “sono essi e i loro rapporti che la linguistica studia; possono essere chiamati le entità concrete di questa scienza” (p.125). L’entità linguistica esiste solo per l’associazione del significante e del significato. Una sequenza di suoni è linguistica solo in rapporto a un’idea; presa in sé è materia di studio fisiologico. La stessa cosa si ha con il significato se lo si separa dal suo significante.

Subito dopo introduce nella definizione di segno un contesto, la catena parlata: “l’entità linguistica non è completamente determinata se non quando è delimitata, separata da tutto ciò che la circonda nella catena fonica. Sono queste entità delimitate ovvero unità che si oppongono nel meccanismo della lingua. […] L’unità non ha un corpo fonico speciale, e la sola definizione che se ne possa dare è la seguente: una porzione di sonorità che è, ad esclusione di ciò che precede e di ciò che segue nella catena parlata, il significante di un certo concetto” (p. 126).

Infine si sofferma sull’analisi dell’unità linguistica. Delimitare un’unità, afferma Saussure, sembra cosa facile ma una delimitazione corretta esige che date due catene parallele – quella dei concetti e quella delle immagini acustiche – le divisioni stabilite per l’una equivalgano alle divisioni dell’altra. L’applicazione del metodo, però, si rivela semplice solo se si pensa che le unità concrete da ritagliare coincidano con le parole. La natura di queste, in realtà, è molto discussa e incompatibile con quella di unità concreta: si prendano due parole cheval e chevaux “si dice che sono due forme dello stesso nome; tuttavia prese nella loro totalità, esse sono due cose distinte, sia per il senso sia per i suoni. […] Così non appena si vogliono assimilare le unità concrete a delle parole, ci si trova di fronte a un dilemma: o ignorare la relazione [che le unisce] e dire che sono due parole differenti oppure, invece che di unità concrete, contentarsi dell’astrazione che unisce le diverse forme della stessa parola. Occorre cercare quindi l’unità concreta in qualche cosa di diverso dalla parola” (p.128).

Concetta

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